UNA NOTTE AD AUSCHWITZ
di Alan Tommaso Piazza
La memoria è una luce che irradia cose e persone. La memoria illumina la conoscenza e la comprensione, nella mente di un mondo che si prostra di fronte agli orrori del passato. Un memoriale vive di luce propria e si riflette negli occhi di tutti coloro che fanno della memoria un valore.
Auschwitz è una luce che la notte si spegne. Auschwitz nell'oscurità mostra tutti i suoi abominevoli contorni, con le sue ombre nere che pesano sulle spalle di chi calpesta quella terra di morte.
Il silenzio in cui è immerso il campo di concentramento durante la notte è frastornante, unito alle immagini dei block e del loro agghiacciante ed immutato ordine. Un konzentrationslager vuoto e buio, mostra il peso di decine di migliaia di anime che sembrano vagare silenziose, ancora imprigionate in quel luogo che un'anima non l'ha mai avuta.
Fotografare è un atto nobile di testimonianza che difficilmente però può ascrivere nelle sue immagini qualcosa di prettamente fisico. Solo apporre la propria esperienza diretta, nel suo parallelo, può dare – seppur minimamente – un valore al dolore.
Passare la notte a domandarsi come sia difficile apporre il presente a quel monolite di storia e disumanità. Nemmeno dormire è possibile se dalla finestra scorgi le mura del campo e ti domandi come sia possibile che vicino a quello stesso luogo di miseria, si possa riposare in un hotel.
L'inverno è rigido, la notte. I nostri caldi soprabiti, i guanti, i cappelli e sciarpe, non sembrano una barriera solida per il ghiaccio del campo, che penetra, durante la nostra entrata nell'oscurità. Tremiamo, sfreghiamo le nostre mani ed il senso di colpa attanaglia, consci della presenza di migliaia di oggetti conservati in quei luoghi. Ma non abiti caldi e comodi, solo fredde e vuote vesti che non hanno mai confortato nessuno, stoffa che ha semplicemente coperto dei corpi senza vita ancor prima di morire.
Camminando si calpesta terra e ghiaccio, che riflette la luce di una Luna che cerca di dare una tinta alle ombre di cui si è circondati.
Si cerca di catturare le immagini più evocative, camminando da soli in quei sentieri di morte. Si ha paura, anche solo di sussurrare qualche sensazione, di emettere un filo di voce che possa rompere una quiete nel presente e mancare di rispetto al passato.
Si entra in una torre di controllo SS; li tempo li è fermo ad ottant'anni fa, così come la polvere ed i suoi intrichi. E nonostante al coperto, li il gelo era più sottile e fastidioso, quasi come se nemmeno uno spirito avesse il coraggio di entrarvi, come se non vi fosse mai entrato prima.
Uscendo senti la pungente aria di un mattino che ha fermato il respiro di tanti, troppi.
Il preludio di un percorso che i block al loro interno, vuoti di pubblico, si riappropriano nuovamente della loro forma e sconcertante grandezza. Dove ogni oggetto in relazione alla tua presenza, ti osserva ed emana in maniera ancora più volitiva, tutto il suo insieme di valori.
Varcare il cancello del block 11 che porta al muro della morte e ritrovarsi solitari in quel cortile così cinto ma vasto - come le migliaia di esecuzioni il cui sangue su quel muro è saturo da più di mezzo secolo - immobilizza, come se qualunque azione fosse ostile.
Muovendo passi solitari, la fioca luce della camera a gas ci conduce fuori, alla fine di un percorso che devasta i sensi realizzando che il tuo passo oggi può cambiare, rispetto ad un passato in cui quel percorso fù ideato per portare solo alla fine.
Visitare Auschwitz oggi pone al cospetto di due elementi: la libertà ed il filo spinato. La libertà di entrare, uscire, avvicinarsi al filo, osservarlo, toccarlo e rendersi conto di come sia in realtà disfunzionale: non ferma e non ha mai fermato nulla. Pensieri, parole, voci, sensazioni, sentimenti, luce, aria. Tutto trapassa sinuosamente ed in maniera libera si diffonde, memoria compresa.
Oggi si ha il diritto, il dovere e la libertà di conoscere e comprendere il valore della memoria trasportati dalla propria coscienza. Diritti e libertà che furono sostituiti da surrogati anonimi come vesti a righe, simboli e numeri impressi nella pelle di essere umani ormai oggetti dimessi senza identità, annullati nel corpo e nella mente, un eccidio fisico e psicologico di soppressione totale.
Il tempo è fermo ed uscire dal lager stordisce, come il ghiaccio che ha ricoperto tutta la zona. Si percorre la strada con cautela arrivando al vernichtungslager di Birkenau. Nella sua tremenda e sconfinata vastìtà, percorriamo la Bahnrampe, aree immense dove solo la natura sembra viva ma anch'essa non è mai riuscita a riappropriarsi di questo luogo e dei settori che ancora oggi vedono le baracche ergersi nella loro innaturale fatiscenza.
Si prosegue in un gelo irreale tra il fango ghiacciato e la foschia che un debole sole ha portato dentro il lager. A Birkenau non solo ci si perde ma ci si isola. Qui non si è in un luogo dove si è chiusi in una tremenda realtà. Qui è il mondo intero ad essere tremendamente reale.
Infinite sono le sensazioni che ci si porta da un luogo creato ex novo per un progetto finale. La memoria ad Auschwitz risiede nei luoghi e negli oggetti. A Birkenau la memoria è nell'aria, perchè così com'è stato creato voleva essere distrutto, quindi molto di ciò che è stato è sparito e solo la consapevolezza può tradurre tutto in conoscenza.
E l'unico elemento più di ogni altro a rendere viva la memoria è quanto di più vicino alla morte. Passare vicino al crematorio 3 e sentire ancora dopo quasi un secolo l'odore di bruciato è qualcosa che ci si porta addosso per sempre. Così come il buio accecante che ritorna la sera e torna ad avvolgere quei luoghi di morte nell'oscurità.
Così com'è oscura l'indifferenza, in ogni luogo ed in ogni tempo, che prende la vita e la stupra di ogni suo singolo valore. Non solo durante ma anche prima e soprattutto dopo. L'indifferenza è l'antitesi della memoria, la mancanza, la rinuncia ad un dovere – che è quello di conoscere e ricordare – che irrimediabilmente porta a perdere quei diritti che, passo dopo passo, si erodono e restringono, dalla collettività alla singola persona.
Non c'è nemico nell'indifferenza, perchè essa si insinua nell'animo anche di chi è vicino: un conoscente, un vicino di casa, un amico, un padre. L'indifferenza che porta ad agire per conformismo ed opportunismo, atteggiamenti che aprono la strada e permettono ad ideali malvagi di insediarsi nell'animo di tutti a discapito di un numero sempre diverso di innocenti. Nell'indifferenza c'è quella violenza indiretta che anche se non si è autori di crimini, si è comunque oggettivamente complici, per irresponsabilità.
Così come evitare di confrontarsi con il proprio passato rende vulnerabili in periodi storici come quelli odierni dove il populismo crea proseliti attraverso il diniego del passato, l'idea che non ci riguardi. Mentre la memoria aiuta a consolidare la democrazia, memoria che deve rimanere vivida soprattutto nei giovani, in cui emerge una stanchezza su questi temi.
Far comprendere che all'indifferenza di molti va contrapposta la memoria come arma fondamentale per ognuno di noi nel riconoscere nel tempo (e nelle forme) ciò che può minacciare il nostro benessere, la nostra libertà, la nostra identità e la pace stessa.
Per noi italiani molto più di altri, la nostra storia ci fornisce informazioni utili per capire, comprendere ed affrontare un'epoca come quella odierna dove l'informazione va formata in maniera più fedelmente vicina alla verità ed alla realtà, perchè la crisi della ragione ed il ritorno sempre più condiviso di un pensiero autoritario, di un uomo solo al comando che possa risolvere tutto ciò che oggi viene dipinto come un problema (anche quando non lo è, come la storia ci insegna appunto), riporta a metodi e concezioni lontani dal pensiero democratico e più vicino e simile a ciò che è già successo nel nostro comunque sempre recente passato.
L'indifferenza prospera dove v'è mancanza d'empatia, dove l'idea che farsi i fatti propri, che tutto non ci riguardi da vicino, contribuisce al diffondersi di sentimenti come odio e razzismo, oggi più attuali che mai, che si tramuta in indifferenza verso le minoranze, che tornano (o lo è sempre stato) ad essere considerate “diverse”. In tal senso la memoria ci porta a riconoscere dove possiamo sbagliare, di comprendere come certi subdoli meccanismi possano trasformare un cittadino in un criminale, attraverso il conformismo, la metaforica cecità, la paura e l'apatia.
Quest'ultima mescolata all'indifferenza, può uccidere più dei criminali stessi. Va ricordato ad esempio che uno dei motti delle SS era: “l'empatia è una debolezza”. Anche una simile frase può generare memoria come essenziale difesa. Perchè rinunciare alla memoria mette in pericolo anche la dignità umana, di tutti ma anche di noi medesimi. Perchè quando la società inizia ad escludere minoranze, il cerchio dei “nemici” anche grazie alla paura collettiva, instillata dalla paranoia generata dal populismo, si allarga.
Finendo per inghiottire tutti, anche noi.